mercoledì 27 maggio 2009

Evoluzionismo

Appunti Per Una Storia di Guerra (c) Gipi

Nella critica esiste spesso un rischio: interpretare le opere principalmente (solo) in base al grado di evoluzione che rappresentano per il medium di cui fanno parte. Secondo questo principio, nel nostro ambito, se un fumetto sotto qualche aspetto (concettuale, tecnico, espressivo, …) apporta novità degne di nota, evolve il fumetto come forma di comunicazione, allora il suo valore sarà direttamente proporzionale all’innovazione portata.
È un approccio diffuso, che si riscontra in tutti gli ambiti, dalla musica, all’arte visiva, al cinema, alla letteratura. Ma è solo un punto di vista sul mondo delle idee e dell’arte, solo un possibile filtro interpretativo. A volte piuttosto rischiso.
Due esempi antitetici spiegano meglio i termini della questione.
Tempo fa, di fronte all’ennesimo plauso generale per un lavoro di Gipi (Appunti Per Una Storia Di Guerra, se non erro), Alessandro Di Nocera si mosse controcorrente sostenendo, in estrema sintesi, che non comprendeva il successo dell’autore toscano perché ne valutava i lavori vecchi nell’impostazione e nello stile narrativo, sostanzialmente superati.
Non mi è chiaro, a tutt’oggi, se per Di Nocera lo stile superato andasse di pari passo con l’incapacità presunta dell’autore di esprimersi con una voce al passo coi tempi, di saper cioè parlare del/al nostro quotidiano, della/alla nostra socialità e società. Personalmente sono convinto che le due componenti siano disgiunte. Gipi ha ampiamente dimostrato di saper parlare in modo chiaro, non banale, a un ampio e variegato gruppo di potenziali lettori di fumetti inconsapevoli. La sua narrazione ha un linguaggio vecchio? Ha uno stile superato? Non trovo sia così importante. Penso che i suoi lavori siano coinvolgenti e personali. L’approccio “evoluzionistico”, adorniano, non dice tutto di un’opera. È un filtro potente, ma non l’unico. E rischia di banalizzare l’interpretazione e la contestualizzazione di un’opera.

Tale considerazione vale anche al contrario. Mi è capitato di rileggere il mese scorso la famosissima opera di Moebius Il Garage Ermetico. Quando venne pubblicato originariamente, negli anni ’70, questo fumetto visionario e astratto generò un vero e proprio shock culturale, dando vita a derive delle più varie, in tutto il mondo. Si può sostenere senza rischio di smentite che dopo Il Garage Ermetico la concezione stessa del fumetto e del suo potenziale è mutata in modo significativo. Moebius, con i suoi lavori, in quegli anni, ha rappresentato una pietra angolare, un punto di riferimento da imitare o dal quale allontanarsi il più possibile. Si tratta quindi di un’opera fondamentale per l’evoluzione del fumetto.
Ebbene, non ho timori nel sostenere che leggere oggi Il Garage Ermetico è un’esperienza meno significativa, a tratti deludente. Svestita del mito storiografico e del valore leggendario, Il Garage Ermetico è infatti un’opera involuta sul piano narrativo, graficamente forte ma squilibrata, in molti casi inutilmente intellettualistica e auto-compiacente. Il passare del tempo la svilisce progressivamente. È talmente radicata nel suo tempo, nella rivoluzione culturale da cui è nata che senza una precisa contestualizzazione perde consistenza.

Il lavoro critico, quindi, è sempre uno sforzo di ponderazione ed equilibrismo che, nella valutazione di qualsiasi nuovo prodotto, deve saper mediare tra diversi punti di vista e presupposti interpretativi. Al critico è chiesto non solo di esprimere un giudizio su un’opera, ma di avere chiara consapevolezza dei filtri che lo guidano e, perché no, di esplicitarli in modo netto e senza compromessi.


Il Garage Ermetico (c) Moebius

Nessun commento:

Posta un commento



Tutti i testi di questo blog sono (c) di Harry Naybors, salvo dove diversamente indicato.
Puoi diffonderli a tuo piacere ma esplicitando sempre l'autore e/o la fonte.

La versione a fumetti di Harry è (c) di Daniel Clowes.