giovedì 30 luglio 2009

It differs depending on the comics


It differs depending on the comic, obviously, but I guess that my default way of reading the average, traditional comic is to first take a quick ’skim’ of the visual composition and art of the entire page (or two-page spread), then to proceed to a slightly longer glance at the art of the first panel. At that point, I usually read the narration and word balloons, and after that, I look more closely and patiently at the art. And then I go back and forth between the art and the words as often as is necessary to understand everything before moving on to the next panel. (And then sometimes I’ll have to go back to the first panel, sometimes I’ll skip ahead to look at the art for the last panel, etc. It wouldn’t be very entertaining to go on.)

Tim Hodler

“Cambia da fumetto a fumetto, ovviamente, però penso che il modo con il quale di solito leggo i fumetti tradizionali è di osservare velocemente la composizione visiva di tutta la pagina (o di due pagine), e successivamente di osservare più a lungo i disegni della prima vignetta. A quel punto, di solito leggo la narrazione e i balloon, e successivamente, guardo più attentamente i disegni. E poi ancora vado avanti e indietro dai disegni alle parole tante volte quanto mi è necessario per comprendere il tutto prima di passare alla vignetta successiva. (E qualche volta devo ritornare alla prima vignetta, qualche volta salto a guardare i disegni dell’ultima, ecc. Non sarebbe molto divertente proseguire.)”

Ho letto questa affermazione di Tim Hodler poco prima di ritrovarmi tra le mani l’ultimo lavoro di David Mazzucchelli, appena uscito negli Stati Uniti per la Pantheon Books, dal titolo Asterios Polyp.
Ho sempre trovato interessante riflette sul modo con il quale i lettori “affrontano” un fumetto, perché leggere un fumetto è una cosa assai semplice e complessa allo stesso tempo.
La decodifica di disegno e parole, il loro accostamento e lo sviluppo di un senso che li lega è un’esperienza intensa e ambivalente. Da un lato, appare più semplice della lettura di un testo di sole parole, perché le immagini lavorano sul piano iconico in modo più diretto e immediato delle parole. Dall’altro, tuttavia, la “lettura” di un’illustrazione per così dire narrativa, inserita in una sequenza di altre illustrazioni narrative, legata, supportata e amalgamata alla parola scritta mette in moto un processo di lettura assai stratificato.


Perché Mazzucchelli? Perché il suo ultimo romanzo, straordinario, ragiona in più parti sul concetto di percezione, attribuzione di senso, e lo fa con un processo di “mimesi”, per così dire, o attraverso tecniche meta-fumettistiche, nel momento in cui, per esempio, rappresenta graficamente i diversi personaggi, ambienti e oggetti con le più disparate tecniche (realismo, cartoon, forme geometriche). Un gioco visivo che ha proprio lo scopo di sottolineare le percezione multiformi, i differenti punti di vista, le diverse interpretazioni della realtà. Vengono in mente i paradossi di senso di Deleuze, nella sua felice analisi di Alice nel paese delle Meraviglie (Logica del senso, Feltrinelli) che, riprendendo Platone, ma spingendosi molto oltre, sottolinea la doppia realtà di tutte le cose: l’esistenza racchiusa nel momento specifico, codificata e rappresentata, carica di un senso definito e definitorio; il continuo divenire che sembra negare il momento presente, nel suo essere sempre nel passato e contemporaneamente nel futuro.

Mi sembra che la lettura di un fumetto, da un punto di vista che potremmo definire costruttivista, è proprio la precisa esemplificazione di questi concetti: nel momento in cui osservo una vignetta, la mia mente è già impegnata costantemente a ricostruire i fatti antecedenti a essa e immaginare i successivi. Come? Attraverso un’attribuzione di senso che si sviluppa per inferenze, riempiendo il bianco che esiste tra una vignetta e l’altra, rimettendo in fila le vignette (disegno e testo). Leggere un fumetto, in questo senso, appare come una continua corsa nel paradosso, dove l’occhio salta di qua e di là, avanti e indietro, da codici predefiniti come le parole a segni meno definiti come i disegni. Nel leggere, siamo tutti novelle Alice che si chiedono sempre se stanno diventando grandi e piccole allo stesso tempo.

Ognuno potrebbe raccontare il proprio approccio alla tavola. Ma, come conclude Hodler, sarebbe assai noioso dissezionare questo aspetto in modo schematico.
La complessità della lettura di un fumetto e, al contempo, la sua semplicità, proprio come il prima e il dopo di Deleuze, sono il paradosso per eccellenza di questo medium. Da qui, l’esigenza stringente di normalizzarlo, da un lato, attraverso standard produttivi e realizzativi consolidati (Bonelli, Disney, ecc.) e dall’altra la continua volontà di rivoluzionare e ribaltare quel che si dava per scontato del fumetto stesso. I paradossi si moltiplicano, perché non è raro sentire lettori occasionali di Bonelli dire di provare troppa fatica nel leggere i fumetti (categoria a sé stante distinta dai Bonelli che, a questo punto, nella loro mente sono altro rispetto ai fumetti). Così come capita più spesso di un tempo di conoscere persone che amano graphic novel complesse come Città di Vetro (per rimanere vicini a Mazzucchelli) ma di annoiarsi tremendamente di fronte a un qualunque Bonelli (di nuovo, specularmente, ai loro occhi due medium totalmente diversi).



Se esiste un’esigenza di educazione al fumetto, credo passa passare almeno attraverso due punti: sviluppare la consapevolezza che il fumetto è un medium con le sue caratteristiche distintive all’interno del quale esistono molteplici forme anche molto distanti tra loro; creare i presupposti per una vicinanza precoce, in età evolutiva, alle diverse forme del fumetto per, come dire, oliare e rafforzare la flessibilità percettiva e cognitiva che la lettura di un fumetto, qualunque fumetto, potenzialmente possiede.

Harry.

tutte le illustrazioni (c) David Mazzucchelli

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