lunedì 5 ottobre 2009

Oggi rifletto sul formalismo - parte 3 di 5

(c) paul hornschemeier



Qui la prima parte.
Qui la seconda parte.
Ora la terza parte.

Il formalismo di certe opere aiuta i lettori a scoprire nuove potenzialità del fumetto e a sviluppare un diverso livello di attenzione agli equilibri tra i disegni all’interno delle tavole e tra una tavola e l’altra. Favorisce anche un impatto visivo immediato dell’oggetto-fumetto molto soddisfacente, che cattura e non lascia indifferenti.
Ma naturalmente, in questa fase, tale approccio funziona solo a livello superficiale, perché non ha ancora acquisito significati nuovi, perché non si è ancora incontrato con la storia che l’autore vuole raccontare. Non ha quindi alcun contenuto narrativo definito.

Quando inizio effettivamente a leggere un fumetto, per tutta la durata delle prime pagine c’è una voce nella mia mente che esprime una serie di pregiudizi sull’opera nata dalle fasi che ho precedentemente descritto. Tale condizionamento nasce dalla necessità della nostra mente di favorire una visione di insieme prima che una visione parziale. E non c’è nulla di più parziale e in divenire di una serie di vignette che formano una storia. Il fumetto è per sua natura incompleto e richiede al lettore lo sforzo di aggiungere significato dove non c’è, dove è solo suggerito. Lo sforzo che si richiede al lettore è enorme. Lo sappiamo, il fascino del fumetto si nasconde più in quello che non c’è (ed è abilmente suggerito) che in quello che c’è.

Lo spazio per le interpretazioni e le personalizzazioni del lettore è tanto maggiore quanto minori sono i riferimenti che l’autore offre (a stili o impostazioni precedenti, al reale, alle esperienze di vita, ad altre forme di comunicazione, ecc.).
Per scacciare i pregiudizi e il fantasma di un desiderio formale derivante, credo, dall’amore per le arti visive e dall’esercizio critico, all’inizio mi concentro soprattutto sui testi scritti e sul procedere della storia. La mia attenzione consapevole ai disegni si riduce, in questa fase, a meno che qualcosa di eclatante, nella parte visiva, non succeda.
Naturalmente il disegno non scompare, non è possibile. E a esso ritorno, più consapevolmente, mano a mano che procedo nella lettura.
Ci sono cose che mi capita di vedere solo a posteriori, quando, conclusa la storia (o un capitolo della stessa), la ripercorro. È in questa fase che eventuali strutture ricorrenti o ricorsive si manifestano in modo più chiaro e si rivelano, nella loro efficacia (o inefficacia), in funzione della storia. Un’esperienza simile mi è accaduta in modo marcato, per esempio, nella lettura de I tre paradossi di Paul Hornschemeier (che ho ripercorso almeno tre volte di seguito) dove la composizione, gli stili di disegno e i rimandi concettuali sono il cuore della storia (e, per certi versi, la sua debolezza).

Dalla descrizione di questo processo di lettura, che avrà annoiato i più, volevo far emergere due fatti: che l’esperienza psicologico-percettiva di un fumetto è assai complessa e stratificata; che esiste un’ampia personalizzazione nell’attribuzione di senso e valore a un fumetto, sia sul piano interpretativo che percettivo.
Da queste due considerazioni possono nascere quelli che a volte appaiono come giudizi contrapposti su un fumetto e che rendono il lavoro di critica impegnativo e ambiguo. Un esercizio critico che richiede cultura, dedizione e tempo.

Harry
(continua)

1 commento:

  1. Questo pezzo è un po' un riassunto stringato del concetto di closure in McCloud e delle sue implicazioni a livello di percezione della linea.

    Nel quadro complessivo, un ripasso male non fa.

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