mercoledì 23 giugno 2010

Delle umane passioni



Ancora a proposito di Dago.

C'è una domanda che mi pone Daniele Barbieri. Del perché dopo tanti anni, dopo che Robin Wood ha percorso e ripercorso le stesse vicende con le sue (in)finite varianti, Dago sia ancora una delle letture più interessanti del panorama seriale italiano. Si può rispondere in molti modi. E il primo, quello più competente, sarebbe nell'analisi del modo, della tecnica, degli espedienti narrativi messi in atto da Wood e Gomez. Qualcosa ho accennato già. Qualcosa andrebbe approfondito, eccome.
Ma osservando da un altro punto di vista la risposta è antropologica: Wood sa raccontare la vita nei suoi bisogni primari. Prima ancora che tecnico, è un successo basato sulla sensibilità artistica dello sceneggiatore. Wood mette a nudo le dinamiche primarie che muovono le esistenze. Il filtro della guerra in forma di dramma svela gli attaccamenti, il desiderio sessuale, il bisogno di affermazione, la crudeltà, la fame, la vendetta, la sacralità della vita, e così via. Di questo Wood sa raccontare alla perfezione. E ogni tassello, ogni ritorno, ogni variazione, offrono un'opportunità di comprensione. Il gioco funziona, insomma, per forza dell'occhio con cui Wood osserva e della sua forza evocativa. Doni rari.

Harry.

1 commento:



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