venerdì 9 luglio 2010

Educazione (alla scrittura) - seconda parte



Ancora a proposito della narrazione di sé.
Ancora a proposito dell'educazione.

Uno dei passaggi cruciali che si fanno durante la scuola è quello di capire cosa si può fare quando si deve scrivere. C’è un passaggio che per molti non avviene mai, ma che per qualcuno è l’apertura di una serie infinita di possibilità. È la consapevolezza di poter esprimere sé stessi, i propri pensieri, la propria immaginazione, quando si scrive.
Tema: Siamo soli? Esistono gli extra-terrestri (sintesi di uno dei titoli delle prove di maturità 2010).
Svolgimento 1: Cosa vogliono che racconti?
Svolgimento 2: Cosa voglio raccontare?

Il passaggio alla narrazione attraverso sé e di sé, dove il proprio mondo psicologico diventa nodo centrale di quel che si scrive, può traghettare l’esperienza passiva e imposta dall’autorità verso il divertimento e la passione.

Con il disegno, le cose iniziano molto prima. Già durante la scuola dell’infanzia, i bambini sono incoraggiati a giocare con forme e colori sui fogli. È un lungo percorso educativo che molto spesso passa attraverso l’omologazione a modelli e regole precostituite. Per questa via, molti bimbi possono perdere identità, passione e divertimento e, se troppo distanti dai modelli, possono essere etichettati come incapaci. Eppure, il disegno, come forma di espressione, mantiene una spontaneità e una vitalità molto chiara a chi osserva i bimbi al lavoro. La mediazione della parola, della grammatica e della sintassi, a dar forma a pensieri e idee, è un’impresa più ardua, che raramente offre soddisfazioni immediate e che necessariamente si sviluppa in età più avanzata.
In questi cicli educativi, nelle scuole italiane, il fumetto è totalmente assente, se non come forma spuria e per lo più inconsapevole.
Immagina quale potenzialità potrebbe avere in un pre-adolescente, o in un primo adolescente, l’unione di un disegno già in buona parte “evoluto” e di una scrittura “acerba” per educare al racconto di sé. Naturalmente questo potrebbe presupporre un ripensamento dei metodi educativi sul disegno: non più singoli disegni isolati, ma elementi di una forma di narrazione sequenziale (cosa che avviene molto raramente). Al contempo, richiederebbe di ripensare all’uso della parola scritta, nelle sue forme più sintetiche e funzionali allo svolgimento di un racconto con immagini e, per queste caratteristiche di supporto al racconto disegnato, di più facile appropriazione da parte dei bambini.

Educare alla narrazione di sé vuol dire aiutare le persone a sviluppare idee di sé. In molte attività di formazione psico-sociale, si insegnano tecniche narrative per aiutare i partecipanti ad acquisire consapevolezza e a supportare fasi di cambiamenti o di crisi. Si arriva persino a parlare del sé come di un testo scritto e da scriversi.
Raccontarsi è sempre uno strumento di auto-guarigione, non facile e non indolore, perché presuppone la necessità di guardarsi d’avvero.
Certo, il passaggio dalla scritture di sé per se stessi alla scrittura di sé per un pubblico è un altro nodo fondamentale nelle imprese artistiche. Ma se manca quella  prima scintilla, quel primo bisogno, il resto
non può fiorire.



(c) gipi


Il disegno ha una portata autobiografica inarrivabile, che è quella della personalità del tratto. Una semplice linea tracciata da una mano veicola immediatamente un’idea di quella mano, ed è unica, quasi quanto la voce di una persona. Anche nelle forme di fumetto più realistico, il tratto non è anonimo o indifferente (o, se lo è, rivela un’incapacità, quanto meno) ma veicola un intero mondo psicologico, che è quello proprio del disegnatore.


(c) jeffrey brown


Se, poi, l’intento è quello di narrare di sé in una vera e propria autobiografia, ecco che le possibilità  si moltiplicano e il tratto personale diventa fondamentale. È da questo punto di vista che si possono osservare le ricerche artistiche di Gipi, di David B. e di Jeffrey Brown (solo per citare tre autori rappresentativi di nazionalità diverse), dove non è più la bellezza, l’eleganza, la ricchezza del tratto a funzionare, ma la forza iconica, l’idiosincrasia, l’immediatezza. Per Gipi è una sorta di manifesto, nel suo ultimo romanzo, La mia vita disegnata male. Per David B., il disegno (che, senza banalizzare, non si limita solo al tratto) è una porta per l’inconscio e la comprensione del dolore. Per Brown è la sintesi del minimalismo, il disegno realizzato al bar, mentre la vita scorre; appunti di vita, quindi, che richiedono velocità (nella realizzazione, nella codifica, nella comprensione) e appaiono fragili e nudi.


(c) david b

Ecco, arrivati al punto, mi piacerebbe pensare a una scola che insegni ai bambini e ai ragazzi a far proprio il manifesto di Gipi: raccontare ognuno la propria vita disegnata male, come viene, come si sa fare, per arrivare al cuore di sé, dei lettori e del potenziale espressivo del fumetto.

Harry

5 commenti:

  1. La vita di gipi in ogni caso non è raccontata come viene, come si sa fare. E' un esercizio molto elaborato di sceneggiatura, di montaggio e di disegno. Basti guardare le due vignette che hai postato qui sopra: sono il risultato di un disegnatore consumato, con un testo da stand-up comedian.

    manuele

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  2. non mi fraintendere. è chiaro che dietro a lmvdm di gipi c'è un lavoro enorme, che in parte ha a che fare anche con il trovare una diversa predisposizione alla scrittura, più aperta, immediata, meno studiata e tecnica.

    ciò non toglie che, per come ci è data, oggi, può essere un ottimo spunto per lavorare sul piano educativo. no?

    harry

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  3. Non lo so, l'idea di una scuola che insegna a fare le cose alla Gipi non mi convince. In generale non mi convince l'idea di un'educazione.
    I tre percorsi che hai illustrato sono tutti e tre autodidatti, nascono dal contrasto con un metodo di fare fumetto, eludono un percorso educativo condiviso.

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  4. il concetto di e-ducare è il più nobile che possa esserci. aiutare i giovani a far uscire quello che hanno, a realizzare la propria vocazione, a imparare la vita nel loro modo.

    questa non è l'educazione istituzionale, che insegna invece l'adeguamento a modelli precostituiti e "controllati". dove la diversità è un limite, se supera certi limiti di piccola flessibilità.

    ma in un contesto istituzionale come la scuola, all'interno di un percorso dato dalle autorità, ovvero il programma scolastico, sono gli insegnanti, con il loro esserci, a poter fare la differenza.
    ecco, in questo ambito, credo semplicemente che il fumetto, in particolare in una fase specifica della vita (mi riferisco al passaggio pre-adolescenza/prima adolescenza), potrebbe essere uno strumento molto efficace per esprimere sé. non vuol dire lavorare a la gipi, ma che il lavoro di gipi può essere di ispirazione.

    harry

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  5. Sono daccordo sul fumetto come mezzo di espressione personale più immediato della scrittura: mia nipote di 9 anni fa spontaneamente dei disegni in cui mette le parole dei personaggi nei baloon. Però sono vignette, il passaggio ad una sequenza narrativa non c'è. Andrebbe indirizzata, ma temo che la scuola di oggi non sia in grado di farlo, fa già fatica ad insegnare a leggere e scrivere. Ci vuole o un maestro illuminato, o uno zio appassionato: ci proverò. Altrimenti continuo l'esperimento con mio figlio, che però ha un anno e mezzo e ci vorrà più tempo. Poi ti faccio sapere.
    Comunque il fumetto attira i bambini: se la scuola lo sdoganasse come mezzo di espressione 'serio' e non solo di divertimento si starebbe tutti meglio (personalmente quando 35 anni fa la prof di Italiano mi prestò due Asterix, mi aprì un mondo).

    Giovanni

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