lunedì 22 agosto 2011

Didascalico - come ti uccido il fumetto di avventura

                                                                 asttear, (c) renee french


Tempo fa il fumetto di avventura aveva una cultura dell'immagine tutta da creare. Il riferimento più vicino era l'illustrazione. I testi erano verbosi, molto descrittivi, derivativi della letteratura. I disegni erano un compendio. In quel contesto, c'era una doppia esigenza: accompagnare il lettore passo a passo attraverso una nuova forma di comunicazione; riuscire ad essere popolari.
Perdonami l'estrema semplificazione. E andiamo avanti.
Il tempo è passato. La cultura visiva del fumetto è mutata sotto tutti i punti di vista. Il modo di funzionare della nostra mente è cambiato. Il visivo è diventato predominante. Nel fumetto, le parole, la parte testuale, ha visto complessivamente stravolto il suo ruolo. Il cosiddetto storytelling lo si osserva sempre più nello sviluppo delle tavole, vignetta dopo vignetta, in un'insieme organico e composito. Si è capovolto il rapporto. E la faccio breve.

Perché allora nel fumetto popolare seriale italiano, quello di avventura, si osservano così tante prove forzatamente didascaliche?
Esistono due approcci didascalici, attualmente ben reappresentati. Il primo è di tipo redazionale. Ne ho parlato a proposito di Julia (Sergio Bonelli Editore) un po' di tempo fa. La redazione, a piè di pagina, inserisce una nota, per esplicitare un termine, un concetto o un dato storico. In Bonelli è un metodo molto usato da sempre, che per fortuna si sta in parte riducendo. Ma è tuttora presente, con effetti che vanno dal ridicolo al fastidioso. Dietro a questo artificio, si nasconde una vocazione superficialmente educativa, retaggio di tempi in cui al fumetto si attribuiva una funzione didattica piuttosto forte (funzione strettamente legata all'esigenza di rendere il prodotto il più accessibile e popolare possibile).

Se tale usanza è ormai obsoleta ma, in parte, comprensibile, non si può dire la stessa cosa di un approccio didascalico allo specifico della narrazione. Da un lato, nel fumetto seriale, troviamo sempre più tentativi di ampliare i temi, i riferimenti e le suggestioni (culturari e di intrattenimento) alla base dell'impianto avventuroso delle storie. Dall'altro, si nota una grande difficoltà da parte degli autori (in particolare gli sceneggiatori) nell'utilizzare questi nuovi riferimenti in un modo efficace sul piano narrativo. In pratica, anziché essere questi riferimenti al servizio della storia, è la storia che diventa al servizio di questi temi, che necessitano lunghe spiegazioni, la massima esplicitazione, al limite della descrizione didattica. Inutile dirlo, questo approccio uccide il fumetto. Mortifica la storia.

Se una sceneggiatura così esplicita da risultare didascalica rimane un tentativo (sciocco) di mantenere un lavoro popolare, dall'altro è segno di una grande incapacità degli autori a rielaborare, selezionare, metabolizzare e utilizzare in modo efficace le diverse matrici culturali. Il problema esiste anche sul piano visivo. Spesso i disegni sono banalizzati dai riferimenti fotografici, e il realismo si trasforma in foto-grafismo. Tutto, in questo processo, appare omologato e appiattito. Il risultato è quello di togliere vita alla storia, e di non stimolare in alcun modo la fantasia, la curiosità e l'intelligenza dei lettori. Oltre, ovviamente, a togliere qualunque ritmo narrativo al racconto, appesantito da contenuti testuali e visivi già morti.

Harry

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